TISCALI

Tariffe

BIGLIETTO INTERO: € 5 
BIGLIETTO RIDOTTO: € 2,50


Orari

Gennaio – Febbraio – Marzo – Aprile | 9.00/17.00
Maggio – Giugno – Luglio – Agosto – Settembre | 9.00/19.00
Ottobre – Novembre – Dicembre | 9.00/17.00

Coordinate: 40.241618, 9.491576

Un villaggio preistorico celato dentro una grotta – più correttamente in una dolina – in un sito invisibile dall’esterno e raggiungibile solo con un percorso arduo e impervio nel Supramonte, sulla sommità del Monte Tiscali (500 m circa s.l.m.) che si eleva a destra del Rio Sa Oche nella Valle di Lanaittu.

La suggestione del villaggio fantasma

La localizzazione del villaggio in un sito così ben occultato ha fatto sbocciare numerose suggestioni. I primi due storici – Ettore Pais nel 1910 e Alberto Taramelli nel 1927 – che studiarono l’insediamento lo interpretarono come rifugio dei Sardi durante la conquista romana della Sardegna. Un teoria affascinante che ha animato il dibattito tra gli studiosi.

Oggi la ricerca storico-archeologica sostiene che i Sardi in questione non possono essere assimilati alle comunità nuragiche poiché, quando la Sardegna fu annessa all’amministrazione di Roma (238 a.C.), la Civiltà Nuragica era estinta da qualche secolo e la Sardegna centro-orientale era abitata dalle Civitates Barbariae, le comunità non urbanizzate note da fonti storiche ed epigrafiche.

Un villaggio esteso

L’insediamento è costituito da un centinaio di ambienti e vani sussidiari distribuiti a nord e a sud-ovest della dolina; alcuni muri si appoggiano direttamente alle pareti rocciose o sfruttano la conformazione della roccia. Le strutture presentano pianta rettangolare, quadrangolare, circolare o ellittica.

I muri, di modesto spessore, erano realizzati mediante l’utilizzo di pietre in calcare locale appena sbozzato e di malta; la malta era ottenuta miscelando suolo argilloso (terre rosse) e ghiaia, con l’aggiunta anche di inerti organici. La tessitura muraria era regolarizzata riempiendo di malta gli interstizi tra una pietra e l’altra; la malta era poi esternamente levigata seguendo l’aggetto delle pareti. Negli spessori murari interni erano spesso ricavati degli stipetti e delle nicchie per custodire gli arredi. Talune strutture presentavano forma tronco-conica con pareti aggettanti e, forse, copertura a tholos o straminea (tronchi e frasche) a scudo.

La capanna del capo

Tale denominazione non ha carattere scientifico, si tratta della capanna ancora visibile ed in buono stato di conservazione che presenta un ingresso dotato di architrave in legno di terebinto (un arbusto della macchia mediterranea).

In questa e in un’altra struttura, localizzata nel lato ovest dell’insediamento, è possibile osservare due fasi costruttive: alla prima fase, più antica, afferisce lo zoccolo murario realizzato a secco con pietre di medie e grandi dimensioni; nella seconda fase rientra la parete muraria soprastante, di spessore minore, realizzata con pietre di medie e piccole dimensioni frammiste a malta.

Materiali nuragici e romani

L’indagine archeologica di due strutture (scavi 1999) e le raccolte di superficie hanno consentito il recupero di materiali di età nuragica e di età romana. All’età nuragica appartengono i frammenti ceramici (tegami con decorazione a pettine, ollette, tazze carenate, vasi carenati, brocche con decorazione a cerchielli, etc.) afferenti a contesti che vanno dal Bronzo Medio (XV-XIII sec. a.C.) al Bronzo Finale (XII-IX sec. a.C.) e all’Età del Ferro (IX-VIII sec. a.C.).

I materiali di età romana sono costituiti da frammenti di pareti, di orli e puntali di anfore prodotte nell’Italia centrale tirrenica: si tratta essenzialmente della forma Dressel 1, un’anfora vinaria, prodotta tra la metà del II sec. a.C. e la fine del I sec. a.C.; particolarmente attestate le produzioni della Campania, dalla quale venivano esportati rinomati vini. Anfore di questo tipo sono state rinvenute, per citare alcuni casi della zona, anche nel nuraghe Mannu e nel complesso speleologico di Sos Sirios – Sos Sirieddos.

Significativa in questo contesto la presenza romana agli inizi della romanizzazione della Sardegna. Questa precocità si può spiegare con la vicinanza della costa orientale sarda, intensamente frequentata dai mercatores italici.

Un insediamento ancora tutto da studiare

Per una sicura attribuzione cronologica e culturale delle strutture insediative occorrerà attendere il proseguimento degli scavi archeologici.

Qualche ipotesi può essere avanzata a partire dalle due fasi costruttive descritte sopra: il muro della prima fase ha un aspetto avvicinabile alle murature nuragiche, caratteristica ravvisabile anche in un ambiente a pianta circolare osservabile nella parte nord del sito, mentre le murature della seconda fase e gran parte delle strutture a vista dell’insediamento, la cui tecnica costruttiva non è tipicamente nuragica, potrebbero essere relative a un contesto successivo all’età nuragica, cronologicamente inquadrabile nell’età punica se non nell’epoca romana repubblicana e tardo repubblicana, relativo a una comunità indigena aperta ai traffici commerciali con la penisola italica, come dimostra la presenza delle Dressel 1, e avviata, nell’esito finale, a subire il fenomeno della romanizzazione.

La conoscenza attuale della cultura materiale e della tipologia costruttiva e insediativa dei popoli (Civitates Barbariae) che abitavano nelle zone montuose interne dell’isola prima e durante l’età romana non consente ulteriori asserzioni.

A questo proposito vale la pena ricordare le testimonianze di Strabone, Diodoro, Pausania e Zonara che concordano nell’attribuire ai Sardi indigeni abitazioni in spelonche e in caverne dislocate nei monti della Barbaria sarda.

Il mistero delle Civitates Barbariae

In generale l’evidenza archeologica consente di interpretare il sito come un insediamento civile, costituito da strutture abitative, magazzini, recinti per custodire gli animali, etc., legato allo sfruttamento agro-pastorale del territorio (Valle di Lanaittu, altopiani e radure limitrofi), costruito in un punto naturalmente riparato e protetto dalle intemperie come dalla calura estiva.

L’insediamento di Tiscali rappresenta un caso unico per originalità topografica e architettonica; l’interesse storico archeologico del sito è legato allo studio delle scelte insediative in Età Nuragica e nei secoli successivi fino all’avvento di Roma.

Se l’attribuzione cronologica e culturale dell’evidenza archeologica qui proposta verrà confermata dai prossimi scavi, il contesto in questione costituirà uno straordinario caso di studio per comprendere l’evoluzione finale della Civiltà Nuragica in seguito ai contatti con il mondo Fenicio-Punico e per conoscere, per la prima volta, un abitato attribuibile alle Civitates Barbariae per le quali mancano completamente le fonti archeologiche. Il contesto è inoltre di estremo interesse per l’analisi delle prime fasi del processo di romanizzazione che ha interessato il territorio dei Barbaricini.

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